G8 Genova – Volantino distribuito al presidio solidale del 13/7 sotto la Cassazione

«Ebbene, signori, non vi sono criminali da giudicare, ma le cause del crimine da distruggere.»

C’è chi ha vissuto Genova, le sue strade, in prima persona, e chi l’ha fatta propria perché frutto della memoria comune della storia degli insorti. Generazioni e vite diverse tra loro che si sono riconosciute. Genova 2001 non può essere e non sarà mai una vuota commemorazione, tanto meno la storicizzazione di un evento trascorso.

Memoria viva.
Quel luglio ancora brucia: il nesso tra i momenti di ribellione vissuti e le lotte quotidiane non subisce il logorio del tempo. 11 anni, nella storia universale degli oppressi, volano via, ma nelle vite e nelle esperienze individuali sono un tempo senza fine. La memoria di un momento di conflitto, quando è viva, non è un freddo e automatico meccanismo di selezione che porta in superficie un evento, ma un’immersione nelle sue profondità. Il senso che ne scaturisce esalta le emozioni, gli immaginari e i gesti della possibilità che si
rinnova.

Nel mezzo.
Se il conflitto sociale sembrava sopito e le sue scintille non sono riuscite a divampare, ciò ha contribuito a rendere Genova 2001 un simulacro, che i custodi dell’ordine sembravano pronti a relegare nel “museo” delle insorgenze. L’oblio sembrava destinato a prendere il sopravvento. Eppure, nel mezzo, seppur sotterraneo, il moto è stato continuo e perpetuo. Ogni colpo inferto lascia il suo segno. L’energia che alimenta l’esplosività di alcuni momenti non si esaurisce…d’altra parte va alimentata, continuamente.

A volte ritornano.
La rivolta di Genova 2001, esprimendosi al di sopra dei suoi tempi, è stata un preludio. Oggi siamo i compositori della sinfonia di una conflittualità emergente. Come sempre, sfruttati tra gli sfruttati, oppressi tra gli oppressi. Il 14 dicembre del 2010 e il 15 ottobre passato è stato rotto il silenzio, scandito un altro ritmo, innalzata sotto un cielo cupo una coralità gioiosa di voci, armoniose nella loro diversità.

Non è finita.
Genova. Perché niente è finito. Non solo perché il 13 Luglio 10 compagni/e saranno processati/e per aver partecipato a quelle giornate, non solo perché la storia non viene scritta nelle aule di un tribunale, non solo perché non può essere ridotta alla disputa giudiziaria tra i responsabili della brutale repressione di piazza  e chi quelle giornate le ha vissute. Genova fa parte della storia infinita delle rivolte, dei momenti che irrompono, che stravolgono la presunta linearità degli eventi della Storia.

Vicini. Insieme.
La vicinanza che esprimiamo ai compagni e alle compagne sotto processo il 13 Luglio, è la stessa che abbiamo sentito nei confronti di coloro che hanno animato le strade e le piazze di Roma nelle giornate del 14 Dicembre e del 15 Ottobre. E’ la stessa che sentiamo e respiriamo in Val di Susa, non  solo quando si fronteggia la celere, si crea un blocco, si assedia il cantiere, ma in tutti quei momenti di condivisione concreta e reale all’interno di un percorso di lotta quotidiano. E’ la stessa che viviamo ogni volta che percorriamo sentieri oltre il selciato, tracciando di volta in volta il cammino.

Fuori dai denti.
Il presidio del 13 Luglio a Piazza Cavour è un momento che vuole esprimere ed accogliere le tensioni di tutti coloro che quotidianamente muovono e vivono reali percorsi di autorganizzazione, di chi non cede alla delega e alla logica della rappresentanza, né fuori né dentro le istituzioni, perché responsabilmente si mette in gioco in prima persona e prende in mano la propria vita. Tutto questo oltre le “etichette”, oltre le definizioni. E’ un presidio che prende una posizione netta dinanzi la repressione, inequivocabile: in qualsiasi momento, soprattutto quando la gogna mediatica si scatena, i compagni o i “ragazzi qualsiasi” non si lasciano soli. Ancora una volta, come è accaduto dopo il 15 Ottobre, attraverso i presidi davanti al carcere, nella presenza davanti ai tribunali, nelle lettere scritte, nelle iniziative realizzate per sostenere le spese legali. A differenza di chi prende le distanze dalle rivolte nelle strade, o di chi è pronto a soffocare ogni germoglio di ribellione, le distanze che prendiamo sono nei confronti di coloro che istituiscono pericolose polizie interne, di coloro che ricorrono e fomentano l’uso dei caschi, non tanto per proteggersi dalle forze dell’ordine, ma per colpire chi porta le proprie tensioni nelle strade. Anche in questo senso la memoria è un ingranaggio collettivo.

Sappiamo che un presidio di solidarietà per i/le compagni/e che andranno sotto processo non basta: come tante altre volte, è semplicemente una tappa. Continueremo, ostinatamente, a tessere le trame, affinché la solidarietà  tra sfruttati, anche oltre la repressione, ci faccia sentire realmente compagni nel vivere, tendere e lottare per un mondo senza classi, gerarchie, oppressione e sfruttamento: un mondo di liberi ed uguali, nel rispetto delle diversità.

Indietro non si torna.

                                                                                              Alcune compagne, alcuni compagni

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Una risposta a G8 Genova – Volantino distribuito al presidio solidale del 13/7 sotto la Cassazione

  1. Marco Pacifici scrive:

    …indietro non si torna…ma manco in carcere:forse anzi di certo sono di un’altra generazione che alle guardie ed ai giudici sparavamo in bocca, non alle spalle, ci mettevamo la faccia e quello che ne veniva dopo, pentiti ed infami compresi, oltre alle torture,ma mi auguro che i Compagni e le Compagne si siano messi al sicuro prima della sentenza che se non siamo cattocomunisti speranzosi e bravini buonini perbenini, e NON lo siamo, gia sapevamo quale sarebbe stata. Belola Fratelli Sorelle Adorati Cuccioli e Cucciole mie. Marco Pacifici.

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