[Roma] Aggiornamenti sulla richiesta di sorveglianza speciale per un compagno

Riceviamo e diffondiamo:

UNA LUNGA MATTINATA – IL PRESIDIO A PIAZZALE CLODIO

Lunedì 30 gennaio si è svolta l’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale a carico di un compagno di Roma. Un presidio solidale si è raccolto nel piazzale antistante al tribunale di Roma sin dalle prime ore del giorno, con la volontà di far sentire la propria vicinanza al compagno in questione e di non lasciare nel silenzio l’ennesimo attacco a chi non abbassa la testa.
L’atteggiamento della polizia, schierata in forze, è stato dei più odiosi sin da subito. Disposte davanti all’ingresso del tribunale, le forze di pubblica sicurezza hanno impedito ai compagni e le compagne che volevano seguire l’udienza in aula di entrare, adducendo scuse che più passava il tempo più suonavano grottesche, tra rimpalli di responsabilità che cozzavano col loro stesso codice di diritto. Il compagno aveva fatto richiesta tramite il suo difensore, che l’udienza si svolgesse in forma pubblica, a porte aperte come si suol dire, richiesta accolta dalla corte che avrebbe dovuto garantire l’ingresso libero. Invece no, in una specie di delirio di potere, la polizia, schierata quasi a picchettare l’ingresso principale del tribunale, ha bloccato non solo i solidali ma tutte le persone che dovevano entrare nel “palazzo di giustizia”, operando una ridicola quanto infame selezione all’ingresso che si basava sull’assunto che solo chi era in possesso di un ordine di comparizione davanti al tribunale potesse entrare, ma che riguardava in effetti più che altro l’aspetto di chi poteva sembrare persona amica o vicina al compagno. Nei fatti parenti e amici di altri imputati, persone che avevano impegni nel tribunale, persino fattorini che dovevano consegnare documenti, venivano bloccati, creando una situazione sempre più imbarazzante per le stesse forze di polizia. La risposta dei compagni e delle compagne è stata da subito decisa e ferma. A chi rimasto all’ingresso esigeva di entrare, ricevendo la solidarietà di tutte quelle persone che subivano lo stesso abuso, si è aggiunta subito la risposta del grosso del presidio che scendeva sulla carreggiata stradale per denunciare l’intollerabile prepotenza e far sentire la propria determinazione e rabbia: bloccano l’entrata, blocchiamo il traffico… l’immediata e spontanea deduzione. Dopo diverse decine di minuti concitati il blocco all’entrata è stato tolto, e nell’insistente paranoia degli sbirri solo 4-5 tra compagni e  compagne sono state fatte passare per raggiungere un’aula in cui, letta una dichiarazione* dal compagno, l’udienza stava volgendo al termine.
Nel frattempo sulla piazza, mentre si decideva di riunirsi in assemblea per attendere l’uscita dei compagni e delle compagne, l’arrivo di altri contingenti di polizia circondava i solidali. La solerzia del questore del commissariato di Prati, arrivato a dirigere le operazioni di gran carriera, che con una certa goffaggine schierava le sue truppe tutt’attorno al presidio bloccando il traffico molto più di quanto non avessero potuto fare i compagni, riusciva nell’intento di far sembrare tutta la macchina poliziesca più miserabile di quello che solitamente appare. In evidente stato confusionale, litigando tra digos e questurini, lo spropositato contingente assediava la piazza, in cui ormai, finita l’udienza, il presidio aveva deciso di sciogliersi. Ma forse per giustificare tanto zelo, o forse per riaffermare la loro infamità, le forze di pubblica sicurezza impediva ai presenti di lasciare la piazza senza dare le proprie generalità. All’iniziale rifiuto di tanta parte della piazza di accettare questa provocazione, l’atteggiamento della polizia rimaneva granitico, o forse meglio dire stolido, come quello del somaro che non sente più ragioni. Dopo ore di stallo, in cui il numero di celere schierato in assetto antisommossa e digos lievitava mentre il numero dei compagni misteriosamente diminuiva (ad indicare che l’intelligenza e l’astuzia hanno sempre ragione sulla bruta forza e sulle teste di legno), l’arrivo di un pullman della polizia segnava la svolta della mattinata. Prendendo finalmente coraggio, la polizia su ordine del suddetto questore, procedeva al rastrellamento e alla messa al muro di quello che rimaneva del presidio intimando la consegna dei documenti o l’arresto, mentre nei dintorni della piazza scattavano cacce all’uomo in cui questurini inseguivano agenti della digos e viceversa, e gli uni agli altri giuravano di far parte della stessa organizzazione, sotto gli occhi increduli dei compagni che assistevano alla scena. Dopo aver ottenuto almeno che chi non aveva documenti fosse lasciato in libertà, il presidio si scioglieva cedendo alla stupidità poliziesca e lasciando la piazza alla spicciolata. Ma il questore come disturbato da incubi ad occhi aperti, faceva seguire dai suoi plotoni i solidali fino ai bar vicini dove alcuni si ristoravano con acqua e vivande dopo il lungo sequestro, continuando a minacciare e intimare ordini senza senso, ai quali ormai nessuno più badava, finanche i suoi collaboratori, che prendendolo per braccio lo rasserenavano e lo riaccompagnavano in ufficio.
Non ci stupiamo della violenza e dell’abuso con i quali giorno dopo giorno un sistema in affanno amministra la sua iniquità. Siamo e saremo sempre a testa alta a fianco di chi lotta, solidali con chi non si arrende, sprezzanti verso la miseria umana di chi esegue gli ordini assassini che mantengono in piedi questo sistema di dominio.

1 febbraio 2017

NED-PSM

P.s. Apprendiamo in serata, con immensa gioia, la decisione di RIGETTO della richiesta di sorveglianza speciale a carico del compagno… il nostro Pier.
Ringraziamo tutti e tutte le solidali che, presenti al nostro fianco in questi giorni, ci hanno sostenuto e accompagnato nelle iniziative di lotta.
Non scordiamo che c’è ancora molto da fare, né i compagni e le compagne, che colpiti/e da nuove o vecchie inchieste si trovano agli arresti.

Nel corso degli ultimi anni un numero crescente di donne e uomini attivi nelle lotte sociali è stato proposto per la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Le questure vorrebbero utilizzarla per isolare alcune persone, disperdere alcuni gruppi, fermare alcune lotte. 
Si tratta di un vetusto arnese repressivo, che è stato ripescato dagli armadi del regime fascista e che getta un’ombra cupa sul nostro futuro.
 Chi tenta di legittimarlo nuovamente, come strumento di oppressione politica, mette a rischio la libertà di tutti e tutte.
 Respingere questo tentativo è giusto.
 Impedire che l’eccezione diventi norma è possibile.
Sono in quest’aula a testa alta.
La mia è una precisa scelta di vita, come dicono le carte della questura, affinata in venti anni di lotte.
 Mi sento in pace con la mia coscienza e fiero della mia scelta.
 Respingo con sdegno le accuse di prevaricare la libertà altrui, lucrare sulle attività politiche, utilizzare la violenza per elevare il mio rango.
 Chi ha scritto quelle parole mi offende, perché mi raffigura ad immagine di quella parte di società che rifiuto.
Sono solo di fronte alla corte, non di fronte alla vita.
 Sono uno dei tanti che l’ingiustizia, lo sfruttamento, l’oppressione li vive sulla pelle.
 Sono uno dei tanti che non si sottomette e prova a cambiare questo mondo.
Uno di quelli che non fa finta di niente e non si gira dall’altra parte.
A tutti questi, e a me stesso, farei un torto se non continuassi a dare il mio contributo.

Roma, 30 gennaio 2017
Pier
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