[Roma] 11 anni di bencivenga occupato

Dal 25 al 27 maggio 2012
tre giorni di spettacoli, concerti, performances, banchetti, discussioni, proiezioni e…

PER INFO e AGGIORNAMENTI: www.bencivenga15occupato.noblogs.org

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[Roma] Torre Maura – Quer paro de giovedì da sparasse!

Milonga di istigazione al tango ed altri movimenti
Contro il cinismo dei tempi moderni e la glaciazione gastro-muscolo-facciale ordinata dai potenti.
Escogitiamo tecniche per liberare il corpo dalla gestualità funzionale al sistema.
Risvegliamolo spirito del ballerino ineguagliabile che è in ognuna di noi.
Liberiamo il tango dalle convenzioni borghesi e dai clichè sessisti.

Introduzione alle tecniche
Cena vegan e Milonga
Distro anarchica
Benefit colpiti dalla repressione

TORRE MAURA OCCUPATA
Via delle Averle 10
Bus 312 105 556 Tranvetto Roma Giardinetti

2° e 4° giovedì del mese
QUER PARO DE’ GIOVEDÌ DA SPARASSE… Tra passioni e rapporti antigerarchia.
Per un’esistenza libera dal predeterminato e dal prevedibile mettiamoci in gioco, autogestiamo tempo e spazi!

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Anarchici, W la FAI! (con una riflessione)

Ancora sul dibattito suscitato dall’attentato ad Adinolfi, pubblichiamo un articolo apparso su “Il fatto quotidiano” a firma di Luciano Lanza (redattore di A – rivista anarchica) e un contributo audio di rai radio3 con ospite in studio Paolo Finzi ( direttore della stessa rivista. A parte i toni tutti sulla difensiva, il fatto che un redattore di A dia in anteprima un pezzo ad un giornale di regime, è sintomatico di come alcuni di questi personaggi tendano, in occasioni particolari, ad assumere posizioni vicine alla destra più giustizialista. In questi ambiti si erigono a paladini difensori della “giusta via all’anarchismo”, al meglio, bollando certi episodi come frutto della strategia della tensione da parte dello stato, al peggio, denigrando, infamando ed espellendo da se il “problema”, quasi fosse un sasso nella scarpa da tirar via al più presto prima che possa scalzarli dai loro troni superbi e gravidi di false speranze (ricordiamo a tal proposito l’orrendo articolo di Andrea Papi sul 15 Ottobre). Al di là delle posizioni differenziate che gli anarchici hanno in merito alla gambizzazione di Adinolfi e la FAInformale (buoni anarchici e cattivi anarchici per lorsignori), certi soggetti, pur di fare i dovuti distinguo, preferiscono allearsi con i servi di regime più reazionari. Gli stessi che hanno fatto incarcerare innumerevoli compagni. Gli stessi che fanno le soffiate alla polizia. Gli stessi che disinformano continuamente sull’andamento delle lotte più radicali. Gli stessi che ci hanno ucciso Sole e Baleno. Ma questo ai vari Finzi, Lanza, Papi e altri non interessa.

Pennivendoli dell’Anarchia.

Un’individualità velenos(A)

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di Paolo Finzi:

Oggi pubblico l’editoriale che comparirà nel numero di giugno di A rivista anarchica. un periodico nato nel 1971 e che è stato fra i protagonisti della campagna per la liberazione di Pietro Valpreda.

La Federazione Anarchica Italiana è stata fondata a Carrara appena finita la seconda guerra mondiale. Centinaia di militanti anarchici, rispuntati dall’esilio, dalla clandestinità, dal partigianato, alcuni dalle carceri, ecc. si incontrarono nella città-simbolo dell’anarchismo di lingua italiana per dar vita a quella che fu per un ventennio la “casa” della quasi totalità degli anarchici di lingua italiana. Alcuni gruppi, alcune individualità preferirono restarne fuori e questo non ha mai costituito un problema, proprio per lo spirito libero e libertario che da sempre caratterizza l’associazionismo degli anarchici. Poi dissensi proprio sulle modalità organizzative, nuove sensibilità nate soprattutto a partire dal ’68 e altri fenomeni hanno progressivamente portato la FAI ad essere una delle componenti del movimento anarchico, seppure di sicuro la più longeva e la più “grande”.

Tra l’altro la FAI gestisce il settimanale Umanità Nova che esce regolarmente dal 1945, ricollegandosi non solo in via ideale al quotidiano fondato da Errico Malatesta nel febbraio 1920 a Milano e proseguito per quasi tre anni, fino all’epoca della marcia su Roma (ottobre 1922).  E ci piace ricordare che anche durante il fascismo, clandestinamente o all’estero, qualche numero di Umanità Nova non mancò di squarciare il totalitarismo.


La FAI per noi è questa
: la Federazione Anarchica Italiana, con la quale da sempre abbiamo ottimi rapporti, evidenziati anche dal fatto che tra i nostri collaboratori più costanti e significativi alcuni siano militanti di quell’organizzazione: innanzitutto Massimo Ortalli, che per noi di fatto è un redattore di questa rivista. E poi Maria Matteo, Antonio Cardella e altri ancora.

Noi di “A” non siamo militanti della FAI. Quando “A” nacque oltre 40 anni fa, la redazione era composta quasi esclusivamente da militanti dei Gruppi Anarchici Federati, un’organizzazione prevalentemente giovanile che poi si esaurì nella seconda metà degli anni ’70. In quanto tale, però, la rivista non ha mai fatto riferimento esclusivo a una “componente” dell’anarchismo organizzato – in una tradizione di apertura che in Italia è caratteristica prevalente delle varie testate, a partire proprio da Umanità Nova che pur essendo “della FAI” è sempre stata aperta.

Che se ne faccia parte o no, questa è la FAI, la nostra FAI.


Da qualche tempo ce n’è un’altra in giro
, che vigliaccamente utilizza lo stesso acronimo, ma la cui ultima lettera sta per “informale” invece che “italiana”. Si tratta di un’operazione sporca, che sia opera di “compagni” o dei servizi segreti o di chi altro. Sporca, comunque. E’ grazie a questa scelta (provocatoria, si sarebbe detto in altri tempi) che in queste settimane i mass-media si permettono di ripetere che la FAI gambizza, la FAI ha imboccato la strada della lotta armata, la FAI…  Senza nemmeno più il pudore o l’attenzione di dire la FAI informale.

Abbiamo seguito su “A” fin dall’inizio le gesta di questi informali, il loro uso della violenza, fisica e verbale. Li abbiamo seguiti e li seguiamo con l’attenzione e la preoccupazione che meritano, come ogniqualvolta si vuole confondere l’anarchismo con la violenza, il terrorismo, la vendetta, ecc.. Abbiamo attraversato gli anni ’70 e ’80, stimolando dibattiti, approfondendo, discutendo, ma soprattutto marcando per quanto possibile il baratro che ci divide da chi – in qualsiasi luogo, dal Potere ai movimenti – ritiene che violenza e anarchia facciano rima. Non fanno rima. A meno di stravolgerne il senso.

Come fanno gli informali con sigla FAI.

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Carcere – Comunicato dei prigionieri di San Vittore

Comunicato dei prigionieri del carcere milanese di San Vittore, aprile 2012. Ricevuto e diffuso dalla redazione di OLGa

A chi ci legge:
chi scrive è un gruppo di prigionieri attualmente chiusi a San Vittore.

Si dice: le carceri sono sovraffollate, perciò la condizione delle persone dentro è diventata disumana. Si arriva a chiedere un’amnistia o anche solo un indulto o comunque un atto di clemenza per riportare  un po’ di umanità nelle condizioni interne.
Il governo dice qualcosa di fumoso mentre nel concreto, con il sostegno del parlamento, aumenta le pene in quantità (es: oltraggio, possesso di droga, “spaccio”, recidiva ecc…ecc…) e in tempo di galera. Lo Stato insomma affolla le carceri con delle leggi che criminalizzano atti, comportamenti, scelte imposte dalla crisi ad un crescente numero di persone, immigrate comprese, colpite dal licenziamento, dall’impossibilità di trovare un lavoro, dalle tasse, dal crollo della busta paga ecc…ecc…
riteniamo importante, per contribuire alla conquista di qualcosa di concreto, rivendicare un’amnistia però generalizzata a tutti i  “reati”; mettiamo in secondo piano l’indulto perchè, a differenza dell’amnistia, prevede in caso di ri/arresto nei successivi cinque anni il ripristino delle pene condonate.
Vogliamo specificare le conseguenze che rendono ancora più importante la lotta contro la criminalizzazione e la necessità del carcere.
Sovraffollamento delle carceri significa sovraffollamento delle celle, cioè, impossibilità pressoché totale in cella di movimento fisico, d’intimità, di attenzione, rispetto proprio e di chi è concellino (coinquilino strettissimo); un bagno, un rubinetto per sei o nove persone; impossibilità di lettura, studio, scrittura, riflessione; supremazia del rumore addomesticante della tv; l’igiene è un terno al lotto. Sovraffollamento vuol dire anche sovraffollamento del cortile dell’aria dove ginnastica e calcio sono difficili perchè in contrasto con la densità delle persone in piccoli spazi, con l’assenza d’acqua corrente, con i cessi intasati e puzzolenti; vuole anche dire intasamento e ingiallimento spaventoso delle doccie.
A questa situazione va unito, per essere completata, quanto segue:
pestaggi e umiliazioni praticati dalle guardie contro chi non accetta di essere trattato come uno schiavo, come e meno di un animale; trattamento questo che colpisce in particolare le persone immigrate perchè in generale mancano di sostegno diretto di famigliari e aggravato dall’assenza della lettura, della visione poiché a San Vittore vengono venduti solo giornali e riviste in italiano e la tv diffonde solo programmi in italiano (Mediaset, La7, Rai);
la brutale distribuzione della colazione e degli altri pasti perchè compiuta senza mestoli, pinze, recipienti con rubinetti;
la riduzione delle ore d’aria dalle quattro ore al giorno ministeriali a tre, a volte ridotte perchè in quelle ore è compreso il tempo della doccia;
così si è chiusi in cella 2×4 metri quadrati in 5-6 persone per 21 ore al giorno;
spesso i prigionieri catalogati “malati psichici” o comunque da tenere sotto stretto controllo, vengono costretti in una condizione di vero e duro isolamento, senza fornello, impossibilitati a scambiare cibo, parole, una condizione che spesso finisce nella tragedia del “suicidio” – com’è successo nel febbraio scorso anche in questo carcere ad Alessandro Gallelli.
.
Del resto queste ultime “malattie” vengono generate da tensioni psicologiche proprie alla coercizione carceraria, aggravate dalla pressione fra prigionieri, fra questi e il comando. In una parola il carcere ammala, uccide; è tempo di liberarsene.

San Vittore, aprile 2012

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[AGGIORNATO] Continua il dibattito sul caso Adinolfi – Federazione Anarchica Informale

AGGIORNAMENTO del 23/05/2010

Continuiamo a pubblicare interventi di compagn@ sul dibattito apertosi dopo il ferimento di Adinolfi e le dure polemiche che hanno suscitato alcuni articoli (in particolare “W la FAI”. Oggi tocca ad un intervento di Massimo Varengo pubblicato su Umanità Nova di questa settimana, un articolo apparso su Finimondo e un intervento che abbiamo ricevuto anonimamente in mail.

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Velen(A) riceve e pubblica:

Tale era l’urgenza di dissociarsi: la legge è legge!

Luciano Lanza che scrive su rivista anarchica rivendica la sigla storica della FAI sul sito del Fatto Quotidiano, giornale giustizialista per eccellenza, i cui paladini sono giudici super pagati dallo stato come Caselli che mette in galera i compagni NO TAV o la Bocassini che sta processando diversi rivoluzionari. Serviva un sito seguito da una massa che latita da sempre nelle lande dei propagandisti del sol dell’avvenire: incapaci di far presa sulle masse cui anelano per attivare il processo di rivoluzione sociale anarchica. L’astensionismo è al 38%: Adesso o mai più! Lanza ha scelto di avere un blog nel sito del Fatto dove ricchi legalitari come Travaglio han la funzione di far sentire masse di sudditi apposto con la coscienza mentre fa i suoi elenchi di infamie politico-economiche commesse dal potere dei potenti. I sudditi gridano al cattivo di turno e vanno a dormire complici e laidi di consenso. Si dissociano dalla Federazione Anarchica Informale quelli di rivista anarchica: “non c’entrano niente con l’anarchismo, noi non li conosciamo” tuona il direttore della rivista Finzi dai microfoni di Radio Rai. Fa le veci della Federazione Anarchica Italiana Lanza con cui rivista anarchica rivendica ottimi rapporti e collaborazioni a josa.

Ricordo la violenza ideologica falsa e infamante scatenata da Francesco Codello, su rivista anarchica in un articolo del Giugno 2011, nei confronti di Vittorio Arrigoni dopo il suo funerale ( più facile infamare un morto)

Ricordo lo spudorato stravolgere il pensiero e la pratica di un valoroso compagno che ha lottato in prima persona con coraggio sotto le bombe assassine del potere e della guerra sioniste che mietevano vittime civili.

Ho letto il raccapricciante attacco strumentale alla madre di Vik rea di non aver fatto passare la bara del figlio in terra israeliana.

Ricordo il fango gettato in modo capzioso su Carlo Giuliani dopo il suo funerale da Paolella su rivista anarchica. Parole di sprezzo e cinismo nei confronti di un compagno che fu ucciso mentre si rivoltava durante il massacro di stato cileno del G8 di Genova.

Ho letto la boria ignorante e autoreferenziale di Andrea Papi su rivista anarchica dopo la rivolta di Roma del 15 Ottobre 2011 quando attaccò i rivoltosi mistificandone i fini.

Stravolgendo la verità dei fatti avvenuti nel corteo: scrivendo che i compagni aggredivano chi non seguiva le loro pratiche mentre invece i compagni vennero più volte aggrediti da democratici appartenenti a partiti vari che invocavano la polizia e da altri burattini come Casarini e Bernocchi che in quella manifestazione giocavano le loro partite politiche sottobanco.

Ricordo le cazzate spocchiose di Papi che nel 2009 pretendeva dalle pagine di rivista anarchica di dare lezioni di rivolta agli anarchici greci che infiammarono le strade dopo l’assassinio di stato del compagno Alexandros di 15 anni.

Senza tregua questi moralisti ossessivi sembrano dannarsi nel pontificare dettami che restano puntualmente inascoltati da chi probabilmente neanche li conosce non avendoli mai avuti a fianco.

Ho letto le calunnie e gli insulti di Paolella scritti su rivista anarchica nei confronti di studenti precari disoccupati operai che il 15 Ottobre a Roma si rivoltarono dopo essere stati attaccati con intenti omicidi dalle forze dell’ordine. Paolella definì i compagni meno giovani “psicopatici” e gli altri: “disadattati poverazzi provocatori assoldati infiltrati” Esempi lampanti della violenza verbale praticata da rivista anarchica, oltre che di pattume.

L’anarchico Lanza scrive sul Fatto: “Abbiamo seguito su “A” fin dall’inizio le gesta di questi informali, il loro uso della violenza fisica e verbale. Li abbiamo seguiti e li seguiamo con l’attenzione e la preoccupazione che meritano come ogni qualvolta si vuole confondere l’anarchismo con la violenza e il terrorismo”. La sensazione è tale che ironicamente viene da chiedersi: li avranno seguiti come degli investigatori privati che poi passano la velina all’autorità di un media di regime come il Fatto?

Gli anarchici della rivista anarchica sono preoccupati dagli anarchici informali.

Preoccupati di venir confusi dai birri e dai media. Confusi nelle pratiche. O meglio nelle teorie. Si palesano ancora una volta gli intenti revisionisti e mistificatori di rivista anarchica. La storia dell’anarchismo è anche storia di violenza e di atti di terrorismo nei confronti della classe dominante. Che piaccia o no. Che ci si preoccupi di cancellarli o no. Che ci si dissoci o no.

Codello nel 2001 su rivista anarchica scrisse il proponimento revisionista:

“Un anarchismo per il xxi secolo non può non considerare indispensabile ripensare e superare quella parte del suo pur straordinario patrimonio storico di esperienze che hanno avuto ragione e senso in un epoca storica che non c’è più. Quella che termina con la rivoluzione spagnola del 36-39”. La storia dell’individualismo va ripensata e superata secondo loro. Dato di fatto è che molti individui di molti paesi non la pensano così.

Come dice tra l’altro Oreste Scalzone commentando la rivendicazione del presunto attentato di Genova ad opera FAI-cellula Olga: “Siamo ormai ben oltre il discorso di La Boetie e la servitù volontaria è diventata una sorta di compenetrazione, una consustanzialità tra uomo e capitale. Tra uomo e dominio.”

C’è gente per cui lo stato è ormai un dogma biopolitico. Loro problema e nemico è chi eventualmente agisce contro lo stato. Lo stato che tutti gli anarchici vorrebbero abbattuto perchè causa di tutti i mali, al di la di patentini che certi vigili urbani pretenderebbero di rilasciare dall’alto di ignote autorità.

“Niente abbiamo a che spartire” titolava la scomunica per i black block ad opera di rivista anarchica e altri circoli dopo il massacro cileno del G8 di Genova del 2001.

C’è gente che nella vita dissente dallo stato mentre in esso ha trovato il proprio ruolo sociale e la propria sicurezza economica. Le loro parole stonano incomprensibili al confronto con le parole di chi dallo stato viene ferocemente impoverito, attaccato, perseguitato.

A contare è sempre stata la parola e l’azione di chi allo stato si ribella!

Un anarchico individualista

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Armi della critica e critica alle armi

di Massimo Varengo

“Quando si sta portando una rivoluzione per la liberazione dell’umanità, bisogna avere rispetto della vita di ogni uomo e di ogni donna… Il terrorismo viola la libertà degli individui e perciò non può essere utilizzato per costruire una società anarchica”.

Michail Bakunin

L’immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la dice lunga su quali sono le intenzioni dell’oligarchia al potere. Un atto vile, di terrorismo indiscriminato, in stile iracheno, contro delle giovani donne, antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di lotta armata, magari con origini greche, con contorno mafioso, con l’obiettivo palese della realizzazione dell’unità di tutti gli schieramenti in difesa dello Stato, un’unità che abbiamo visto all’opera negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali, dell’arretramento sociale e culturale del paese.
Ma segnali di questo modus operandi li avevamo già registrati nei giorni precedenti.
In un ufficio dell’Ansaldo Energia è apparsa una scritta, piccola piccola, dieci centimetri in tutto, a matita pare, con una minaccia di morte al presidente di Finmeccanica, Orsi. Accompagnata da una stella a cinque punte e la sigla B.R. Basta questo evidente sfogo di un impiegato incazzato contro i suoi capi, per alimentare la canea mediatica sul pericolo terrorista.
Se si andasse in qualsiasi cesso a rilevare scritte, per i pennivendoli ce ne sarebbe del materiale da campare per anni.
Vale lo stesso per il volantino fatto recapitare a “Calabria Ora”, una ridicola ed evidente falsificazione, probabilmente opera di un altrettanto incazzato contribuente nei confronti di Equitalia, ma utile per dare fiato alle trombe sul pericolo terrorista.
E che dire del drappo rossonero appeso alla lapide che in piazza Fontana, a Milano, ricorda l’assassinio del compagno Pinelli: secondo l’intrepido giornalista, rappresenterebbe una sfida in quanto sarebbe stato applicato proprio nell’anniversario dell’omicidio del commissario Calabresi. Peccato che quel drappo fosse lì dal Primo maggio, messo da qualche compagno o compagna al termine della manifestazione.
C’è da essere sicuri che ogni scritta, vecchia o nuova che sia, ogni sia pur piccola iniziativa anarchica, nei prossimi giorni godrà della massima attenzione mediatica: è chiaro che c’è chi vuole dimostrare l’esistenza di una forte minaccia anarchica, ovviamente violenta e terroristica, al bengodi che stiamo vivendo. E molti altri gli vanno a ruota.

Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui indirizzare l’attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono riusciti negli anni ’80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza dei movimenti del decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti ed indistintamente, la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni erba un fascio, comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e contrapposizioni, così oggi c’è chi intende rispolverare i vecchi arnesi della criminalizzazione preventiva.
D’altronde la situazione per “lor signori” non è facile, devono far digerire misure sempre più indigeste e la paura di una ribellione sociale cresce in loro, anche più preoccupante perché si allarga in prospettiva a settori sociali tradizionalmente moderati (l’artigiano, il trasportatore, il piccolo imprenditore che prende il fucile, ecc.), aprendo un nuovo terreno di scontro – quello fiscale – che mai era stato appannaggio dei movimenti di contestazione radicale.
La voracità delle banche e delle oligarchie al potere non lascia grande spazio a politiche di crescita e la crisi dei derivati è lungi dall’essere risolta. La politica mascherata da tecnica amministrativa deve dar prova della sua capacità di governo, ricorrendo magari a soluzioni progressivamente autoritarie, come quelle che ci sta facendo digerire da tempo.
D’altronde se un autentico liberale come Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” si permette di bollare il governo Monti/Napolitano di “salazarismo”, richiamando alla memoria il regime tecnocrate e conservatore che dominò il Portogallo per 50 anni, cosa dovremmo dire noi che verifichiamo ogni giorno sulla nostra pelle la riduzione degli spazi di espressione e di agibilità, di effettiva libertà di organizzazione e di azione?
Ovviamente anche l’attentato al dirigente dell’Ansaldo Nucleare è stato colto al volo per rilanciare, dopo le varie informative dei servizi segreti sul pericolo “anarco-insurrezionalista”, l’incombenza della minaccia terroristica di matrice anarchica, collegandolo al malcontento sociale crescente, al movimento NoTav e a chi più ne ha più ne metta. Un’operazione ardita questa perché ci vorrebbe qualcosa di più sostanzioso per potere collegare il terrorismo all’insofferenza sociale e al diffuso sentimento anti partitico, depotenziandone così i possibili sbocchi conflittuali e criminalizzando preventivamente ogni capacità di risposta popolare. Se poi si vuol collegare direttamente la rivendicazione del nucleo Olga ai movimenti sociali, basterebbe l’affermazione fatta dallo stesso “di non ricercare il consenso” per troncare sul nascere la discussione.
Ma temo che questo non basti per smontare il tentativo di sviluppare nell’immaginario collettivo del paese una legittimizzazione di una politica oppressiva in nome della difesa dal terrorismo.

Se l’operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi di più e di peggio.
In una situazione dove l’aggressione al livello di vita della popolazione si sta intensificando, soprattutto nel settore del lavoro dipendente, del precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove si avrebbe bisogno di tutta la mobilitazione, di tutta l’intelligenza e della capacità collettiva per organizzare risposte incisive, promuovere lotte, sviluppare iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle forme autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare inevitabile doversi misurare con chi pensa che un gruppo, un’organizzazione, dura, combattente, clandestina, possa ottenere risultati efficaci, con chi pensa di avere la risposta in tasca. Come il gruppo che ha firmato l’attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare rivendicando  la sua appartenenza alla federazione anarchica informale. Soprattutto se l’enfasi mediatica con il quale vengono riportate le “loro” imprese è funzionale al coinvolgimento di tutto il movimento anarchico in un processo di criminalizzazione generale, avente per perno la lotta al terrorismo.
A questo proposito la Federazione Anarchica Italiana ha da tempo denunciato l’uso infame e strumentale del proprio acronimo (FAI) per propagandare le azioni e le prese di posizioni del cosiddetto “anarchismo informale”. Uso che non solo tende a confondere deliberatamente le acque, ma che è rivelatore di una mentalità di tipo egemonico, autoritario, tendente a sovrapporsi all’esistente non con un libero confronto di idee e di proposte, tipico della metodologia anarchica, ma con l’appropriarsi – questo si molto formale – di una sigla caratteristica di altri.
Mentalità autoritaria ed egemonica che si manifesta, tra l’altro con la distribuzione a destra e a manca, di insulti e di giudizi, in merito a coraggio, paura, vigliaccheria, cinismo, ecc. ecc. così come si ricava dalla lettura della rivendicazione. Contrariamente a quanto affermiamo nel nostro patto associativo, il patto che abbiamo sottoscritto per definire le nostre relazioni all’interno della FAI, e cioè che “la FAI non pretende ad alcun monopolio dell’anarchismo”, dovremmo subire giudizi sprezzanti, predicozzi manichei, a nome di un neo-anarchismo che pretende il monopolio dell’idea erigendosi a giudice, prete e boia. È francamente un po’ troppo.
Per quanto riguarda l’azione di Genova l’anarchismo organizzato nell’Internazionale ha dato da tempo una risposta all’avanguardismo armato, confutandone ragioni e metodi.
Se concordiamo con la definizione che i dizionari danno della parola violenza (“Coazione fisica o morale esercitata da un soggetto su di un altro così da indurlo a compiere atti che non avrebbe compiuto”, Zingarelli) non possiamo che classificare la violenza all’interno degli strumenti dell’autoritarismo.
Ed è per questo che nessun anarchico ritiene possibile elevare a sistema la violenza o concepirla come la levatrice del processo rivoluzionario. Tuttalpiù l’atto violento può essere inteso come una penosa necessità per contrastare la violenza, grande e generalizzata dello Stato e del sistema capitalistico. Per gli anarchici è evidente che l’atto violento in sé, in quanto atto autoritario, sostanzia un potere, e se eretto a sistema, rigenera lo Stato.
L’anarchismo si è sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi azioni ed obiettivi, e sulla responsabilità personale nel perseguirle, per cui se rifiuta da un lato di sposare tesi violentiste, dall’altro rifugge da impostazioni piattamente non violente; piuttosto esso rimanda sempre alla coscienza degli individui e alla interpretazione del momento storico in cui essi vivono.
L’efficacia dell’azione diretta non viene espressa dal grado di violenza in essa contenuta, quanto piuttosto dalla capacità di indicare una strada praticabile da tutti, di costruire una forza collettiva in grado di ridurre la violenza al minimo livello possibile all’interno del processo di trasformazione rivoluzionaria. Ed in questa ricerca il “piacere” dell’arma rappresenta un ostacolo insormontabile.
Con buona pace dei Nečaev di turno.
max

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La stura

da: Finimondo

Dare la stura significa «sturare, levare il tappo e lasciare che il liquido scorra. In senso figurato significa dar libero sfogo a parole, versi, ingiurie…». È questa l’impressione che si ha alla lettura dei numerosi comunicati di condanna e di distinguo dagli attacchi, avvenuti nelle scorse settimane, contro uomini e strutture del dominio. Che sia stata data la stura. Come se fino ad ora il rifiuto di differenziarsi agli occhi della repressione, il disprezzo verso coloro che vogliono farsi passare per “bravi ragazzi”, magari un po’ scapigliati ma tutto sommato bonaccioni, non fosse affatto una spontanea e naturale manifestazione del proprio essere, della propria individualità, delle proprie scelte di vita, ma unicamente una imposizione ideologica a cui ci si sentiva costretti a sottostare. Una specie di precetto astratto, di ricatto morale da sopportare, spesso a denti stretti, con mal celata pazienza. E, come è noto, anche la pazienza ha un limite.

Questo limite è stato superato con il ferimento (da parte di anarchici) dell’amministratore delegato della Ansaldo Nucleare a Genova, e con le molotov (anonime) alla sede degli strozzini istituzionali di Equitalia a Livorno. Ora basta! — si sono detti in molti — non staremo più zitti, ma prenderemo la parola per esprimere chiara e forte la nostra estraneità! Soprattutto se tutto ciò accade accanto all’uscio della propria casa. Così, da un silenzio evidentemente sofferto come omertoso si è passati d’un tratto ad un rumore considerato virtuoso. A quanto pare l’etica — quell’etica tanto decantata dagli anarchici — non era che un “tappo” contro cui si stava ammassando e premeva il liquido merdifico, lo sfogo rancoroso della dissociazione. Dissociazione non da una organizzazione a cui non si è mai partecipato, naturalmente, ma da una certa pratica dell’azione diretta: quella che non ha bisogno di venir legittimata da nessuna approvazione popolare.

Se a Genova è stata la rivendicata violenza contro un uomo in carne ed ossa a dare (pretesto di) scandalo, a Livorno è stata l’anonima violenza contro le cose. Ciò dimostra come sia l’idea stessa della possibilità di attaccare lo Stato al di fuori di un contesto allargato, collettivo, condiviso, ad essere considerata una aberrazione da stroncare con ogni mezzo. Non ce ne meravigliamo affatto. È solo un passaggio della china intrapresa dal movimento. Del resto, quando si va ripetendo a martello che nelle lotte si parte insieme e si torna insieme, quando s’impone l’alternativa secca fra la condivisione e lo Stato, quando si tenta in ogni modo di coniugare rivolta e politica, è inevitabile che prima o poi l’azione individuale si trasformi in qualcosa di controproducente da cui distanziarsi (o, per i più imbecilli, di losco da denunciare).

È peraltro assai probabile che chi ha dato la stura non si sia reso nemmeno ben conto delle conseguenze di quanto andava facendo. Forse pensava di allentare soltanto la pressione, di dare sfogo per un attimo alla propria irritazione al fine di potersi contenere più a lungo in seguito. Non è così. Il tappo, una volta smosso, è saltato del tutto. Un flusso di merda e bile sta schizzando fuori impetuoso, appestando l’ambiente e contaminando gli animi. Facile immaginare la soddisfazione di chi ha lanciato l’amo, nel vedere quali e quanti pesci stanno abboccando.

Di fronte a tutto ciò viene davvero voglia di tornare bambini. Di tornare ad essere quegli scolari monelli che, quando la maestra esigeva di sapere chi era il responsabile di una marachella, sapevano solo tacere per solidarietà di classe. A nessuno di loro sarebbe mai venuto in mente di strillare «Io no, signora maestra, io non sono stato». Davanti agli odiati insegnanti, tutti zitti! Che poi, i conti «tra di loro» si potevano regolare altrove e in un altro momento.

Ma oggi no, oggi non siamo più bambini. Siamo cresciuti. Siamo diventati adulti. Il gioco che cercava il piacere è stato sostituito dal lavoro che pretende risultati pratici. Abbiamo perduto quell’innocenza che non conosceva calcoli e strategie. In cambio abbiamo ottenuto una reputazione che — per puro calcolo e strategia — sa solo proclamarsi innocente.

AGGIORNAMENTO del 20/05/2010

 Il carcere nel cervello…

E’ oramai chiarissima l’intenzione, da parte dei media, di dare più eco al rumore che causa il ferimento ad una gamba di un dirigente dell’Ansaldo Nucleare che le migliaia di vittime che negli anni il nucleare stesso ha provocato, anche per colpa di gente come Adinolfi. Si chiede a voce forte l’intervento dell’esercito, ma questo non ci meraviglia. La stampa nazionale, ed i media tutti, sono da sempre la voce dei partiti e delle questure. In un clima che inizia a riscaldarsi la voce del governante di turno, del politico o del questurino si alza attraverso le pagine dei quotidiani cercando di creare un clima di terrore generale che possa togliere l’attenzione dagli avvenimenti che stanno caratterizzando questo ultimo anno il “bel paese”.

La cosa più preoccupante non sono tanto i quintali di porcate scritte da pennivendoli con il tappo nel cervello e l’inchiostro nelle vene, ma alcune risposte che arrivano da chi della repressione ne è vittima quotidianamente. Incancreniti nel corpo e nelle idee ad ogni colpo si risponde con il piangersi addosso, assemblee, volantini, di mettere
i puntini sulle i” e il tentare di riorganizzare “unità” che mettono più brividi delle inchieste stesse. Non c’è fiacchezza nelle risposte perché non esistono le risposte stesse; almeno quelle di movimento mentre quelle individuali fortunatamente arrivano spesso. Si parla di distruzione delle carceri ed i primi carcerieri delle nostre idee siamo noi stessi.

Ci sono tante cose che hanno sempre bloccato la crescita del “movimento” anarchico da quando si è stabilizzata una certa “pace sociale” creato anche da un anarchismo vecchio. Una su tutte la capacità, o la paura, di autocritica; la seconda è la coordinazione tra “pensiero e azione” che dovrebbe essere spontaneo e non “ ricercando una coerenza”; il pensiero stesso della ricerca di una coerenza è un cancello, un paletto…un ostacolo. Pensare di essere coerente con le proprie idee è la prima forma di “carcere” che creiamo in noi stessi; chi crede seriamente nelle proprie idee si comporta di conseguenza senza sentire alcun peso. Le carceri costruite intorno alle nostre idee devono essere le prime ad essere abbattute se si vogliono abbattere quelle di cemento armato, sbarre e vegliate da cani da guardia in  divisa.

La “paura” è un sentimento naturale e non deve essere visto come segno di debolezza sia da parte di chi se la vive sia da parte di chi “paura” ne ha di meno. Sentir parlare, e leggere, gli anarchici, oggi, con frasi dell’800 fa venire i brividi; pensare di applicare tesi e concetti, concepiti un secolo fa, serve solamente a far crescere le ragnatele intorno al cervello.

Il culto dei morti ha, sin dagli albori, frenato l’evoluzione degli uomini. Esso è il “peccato originale”, il peso morto, la palla che l’umanità trascina con sé”(A. Libertad).

Come ricordavano alcuni compagni in un documento, il movimento anarchico non è, e non deve essere, un movimento che da spettacolo tantomeno terreno fertile in cui immaginari filosofi dell’insurrezione si fanno spazio con la buona dialettica.
“Pensiero e azione”: questo deve essere l’anarchismo, queste devono essere le risposte! La solidarietà deve essere un’arma e non solamente un semplice termine scritto.
Le modalità su come portare avanti le singole lotte le decide il singolo individuo, ma bisogna tenere ben presente che le lotte stesse non si fanno con l’inchiostro e fiumi di parole; l’insurrezione non è una teoria dettata da professorini o filosofi e l’anarchismo non è una fede in cui si confondono le sedi, le sedie e i drappi neri con le chiese, inginocchiatoi,
e crocefissi.
I “calamai” non ci sono più, le “penne” non si usano quasi per niente, di “parole” se ne sono fin troppo sprecate ed i “pugnali” raramente avranno la meglio sulle pistole. La libertà non è mai stata regalata a nessuno; non è mai stato un pensiero, ma il sentimento più alto a cui un individuo dovrebbe aspirare…ed ottenere in qualsiasi modo con qualsiasi mezzo che si ritiene necessario contro chi, da sempre, ci ha messo un guinzaglio al collo e le catene a mani e piedi.

SOLIDARIETA’ A TUTTI GLI ARRESTATI
COMPLICITA’ CON I COMPAGNI ANARCHICI!

RadioAzione

AGGIORNAMENTO del 18/05/2010

Stanno arrivando altri comunicati in merito alla discussione avviatasi dopo l’attacco della FAI/FRI. Oggi ne pubblichiamo altri due.

Dissociazioni e critiche – Uno spunto di riflessione

riceviamo e diffondiamo:

Uno spunto di riflessione

[…]
Nel movimento anarchico internazionale l’uso della violenza ha sempre creato divisione, e sollevato vespai di polemiche spesso accompagnate da scomuniche, che in certi casi sono sfociate addirittura nella delazione.
Tuttavia le divergenze nascono sui tempi e sui modi, né da una parte né dall’altra infatti si è mai arrivati a escludere in termini categorici il ricorso alla violenza.
Ma questa impostazione del problema non fa che accrescere la confusione. Chi decide, e con quali criteri, della bontà dei tempi e dei modi nell’uso della violenza? C’è chi sostiene che soltanto in una situazione preinsurrezionale, con le masse sul piede di guerra, ha senso utilizzare la violenza. Sarà anche vero. Ma non mi sembra che ci sia qualcuno in grado di stabilire con assoluta certezza, quando una situazione è preinsurrezionale e quando invece non lo è.
E poi trovo assurda, autoritaria, ridicola, questa pretesa di voler annullare l’individuo per sottometterlo alla “volontà popolare”, a questa astrazione che richiama alla mente la “volontà di dio”.
Se voglio compiere un’azione individuale, non vado certo a chiedere il permesso alle masse. Anche perché non mi risulta che le masse abbiano preso accordi con gli anarchici sulla data della rivoluzione. Né mi risulta che lo Stato abbia momentaneamente rinunciato alla sua violenza scientificamente organizzata affinché gli anarchici abbiano il tempo necessario per riuscire a convincere le masse a sollevarsi.
E allora sta a noi – soltanto a noi – decidere quando e come colpire il nemico, quando e come rispondere agli attacchi dello Stato. Perché l’oppressione e lo sfruttamento sono un dato costante, non occasionale. E non basta una maschera democratica e permissiva a celare questa realtà, e a far dimenticare che una minoranza criminale che detiene il monopolio della violenza, ha potere di vita e di morte su tutti noi.
Confesso che faccio sempre più fatica a comprendere le ragioni della divisione esistente nel Movimento sulla questione della violenza, non foss’altro perché non conosco nessun anarchico critico su questo punto, che nell’esercizio della violenza verbale non sia bravo e feroce almeno quanto coloro che non la pensano come lui.
Ma chi spara a zero contro padroni, politicanti, giudici, sbirri, preti, scienziati e quant’altro, deve essere cosciente anche del fatto che c’è sempre qualcuno che lo prende alla lettera e agisce di conseguenza.
Chi soffia sul fuoco poi non può cavarsela dicendo “è stato tutto uno scherzo”. Perché nella violenza verbale, è bene che si sappia, è implicito il suggerimento a colpire le persone e le cose di cui si fanno i nomi. In caso contrario, la scrittura e le parole diventano un surrogato dell’azione; uno sfogo alle proprie frustrazioni; un inno cantato a squarciagola alla propria impotenza. Ma io non voglio pensare che la violenza verbale che tracima da tutti i giornali anarchici esistenti sia soltanto un fiume di bile sulle cui acque galleggiano anime morte.
Una cosa però deve essere chiara: i discorsi queruli contro chi fa uso della violenza, fatti da coloro che amano cimentarsi solo nella violenza verbale, sono fastidiosi e meschini, e fanno sorgere negli altri il legittimo sospetto che siano dettati soltanto dall’istinto di conservazione, lo stesso che spinge a decretare l’isolamento nei confronti di coloro che hanno posizioni ritenute devianti e pericolose rispetto alla “linea” del movimento ufficiale.
Ma costoro evidentemente non sanno che esiste anche un modo intelligente, ed eticamente ineccepibile, di dissentire con chi si serve anche della violenza. Basta tacere. Ecco tutto. Così non si corre nemmeno il rischio di cadere nella delazione, che tale rimane anche quando la si vuole far passare per “posizione diversa”.
Intendiamoci bene. Non sto dicendo che chi non approva l’uso della violenza nei tempi e nei modi che secondo lui sono sbagliati, deve astenersi dal manifestare pubblicamente questa sua opinione. Ma una cosa è esprimere i motivi del proprio dissenso in maniera ragionata e perfino polemica, altra cosa è dissociarsi pubblicamente, attraverso comunicati da cui traspare la presunzione di sapere quando è giusto ricorrere alla violenza, e scritti con l’aria di chi sembra aver preso appuntamento con la Rivoluzione.
Ma cosa c’è che non va nell’avere un’opinione diversa da chi si serve di metodi che non si condividono e manifestarla pubblicamente?, osservò una volta un compagno, per niente stupido.
Benedetta ingenuità! La dissociazione non è mai “un’opinione diversa”. Perché se è vero che gli sbirri non possono sapere tutto di tutti, perché per fortuna ancora non sono arrivati a leggere nel pensiero, è anche vero che, grazie al loro normale lavoro di investigazione e di controllo, e grazie alla lettura dei nostri giornali, hanno acquisito una conoscenza abbastanza chiara e precisa, sia sulla natura dei rapporti e dei contatti tra i gruppi e le individualità operanti nelle diverse realtà di movimento, sia sul modo di porsi degli stessi rispetto all’uso della violenza.
Cosa c’entra questo col discorso che stiamo facendo? C’entra, c’entra… Se in una qualsiasi città viene compiuta un’azione rivendicata da anarchici e qualcuno fa un comunicato di dissociazione, per le ragioni di cui sopra, ciò equivale a dire alla polizia: “Non siamo stati noi, andate a cercare dall’altra parte…”, vale a dire tra quei gruppi e individualità che non si dicono contrari alla violenza.
Come si vede, si può essere delatori anche in buona fede. Ma chi lo fa si assume comunque una grave responsabilità: quella di dare i compagni in pasto alla repressione.

Antonio Gizzo

[testo tratto da: “The Angry Brigade, 1967 – 1984. Documenti e cronologia”, Edizioni “Il Culmine”/GAS – Infinita, aprile 1995, s.l.]

In merito a una dissociazione! (In risposta al comunicato di approfondimento di alcuni libertari-anarchici di Genova)

In questa città di Genova pare che esistano, quantomeno virtualmente, alcuni libertari e qualche anarchico, occasionalmente(?) cittadinisti, che sentono e manifestano la loro paura di essere colpiti dalla repressione.

Accampando pretestuose motivazioni metodologiche ed etiche hanno ben pensato di prendere preventivamente le distanze, come in una partita di scacchi si anticipa le mosse del nemico, dissociandosi (senza peraltro, che nessuno li avesse ancora associati).

Nel loro scritto sono preoccupati delle indagini che la questura svolge a loro carico ed esaltano le loro gesta pubbliche e collettive nei vicoli genovesi. Vivono la frustrazione di non essere riusciti a svegliare quel tanto osannato sociale e sentono l’esigenza di disprezzare azioni altrui. Sentono l’esigenza di chiarire ( agli inquirenti?) che stanno combattendo su un altro lato della barricata. Lo fanno in un momento strategico, adesso che qualcosa succede nella “loro” città e non molto tempo fa quando, per loro stessa ammissione, sarebbe stato utile.

Non pensiamo ci possa essere alcun dibattito portato avanti con chi si “difende” con meschine dissociazioni, solo che si chiamino le cose con il proprio nome e una dissociazione non diventi un “mettere i puntini sulle i”.

I soliti due rompicoglioni

Genova 17/05/2012

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Dopo la pubblicazione e relativa diffusione del documento di rivendicazione inviato al Corriere della Sera dalla FAI/FRI, si è scatenato un dibattito all’interno del movimento (non solo anarchico) riguardo analisi di fase e metodi utilizzati. Abbiamo già pubblicato un approfondimento di alcuni libertari-anarchici di Genova, ora tocca ad un Individuo, sempre di Genova, e ad un comunicato rilasciato su Infoaut dall’area Askatasuna.

Per ragioni di leggibilità pubblichiamo solo quello da Genova. Per l’altro rimandiamo al link.

riceviamo e inoltriamo:

………….A chi non si dissocia…………
Leggendo quel tristissimo documento che è uscito fuori, ahime, proprio dalla città in cui vivo è opportuno fare qualche ulteriore precisazione, tanto per non finire , e parlo a titolo personale, nel pentolone dei dissociati genovesi.
Ciò che balza subito agli occhi e successivamente al cervellino è il motivo per cui dei pseudo-compagni abbiano l’esigenza di scrivere un documento che probabilmente neanche Don Gallo con tutta la comunità di San Benedetto sarebbe riuscito a partorire.
Un documento che prende in considerazione solo l’azione a quel pezzo di merda di Adinolfi, come se non si meritasse una pallottola in una gamba, e parla di qualche mortaretto spedito qua e la come il male assoluto.
Forse vi sentite toccati? La risposta è si, non penso che nessuno vi spii a parte i soliti diciamo, ma la paura di sentirsi giudicati è più forte di voi, forse siete voi i primi a pensare che non fate abbastanza, ma non lo volete ammettere, e per questo vi sentite chiamati in causa e con la coda in mezzo alle gambe cercate giustificazioni sul vostro essere anarchico.
Nostalgici!? Ma se oggi voi sputate bile verso chi compie un azione, condivisibile o meno, cosa avreste detto nel 1900 quando un certo Gaetano Bresci ammazzava il vostro tiranno: pistolero incallito ? E cioè avreste preso la posizione di tanti “anarchici
rchè non mettere i nomi dei firmatari e non alcuni, forse, anarchici o forse libertari o forse individualità genovesi ?
Abbiate il coraggio delle vostre azioni perchè i compagnie le compagne genovesi non devono, ogni volta che escono da sta città del cazzo, dare spiegazioni su chi ha scritto quel documento o meno.
Penso che comunque il vostro obiettivo l’avete ottenuto, ed era quello di innescare un dibattito, ma secondo me, prima ancora di far partire una discussione di questo tipo, voi avete pensato a dissociarvi per pararvi il culo. In giornate come queste a Genova dove si vedono tipi loschi a ogni angolo di strada, dove i giornali pubblicano veline della questura, minacciano perquisizioni ovunque in città, uscire fuori con un documento di quel tipo vuol dire io non c’entro. Mi ricorda il gioco del buono e del cattivo……..da che parte della barricata state ? Forse come dite voi dall’altra !
Io non mi dissocio, avrei preferito dirglielo direttamente agli sbirri nel caso fossero venuti a casa per l’ennesima perquisizione, ma voi mi costringete a prendere una posizione ORA, per non essere confuso con gente che ha la coda di paglia e che magari parla di un occupazione come il massimo obiettivo da raggiungere.
Tanto e tanto altro bisognerebbe dire, ma penso sia chiara la mia posizione e quindi mi fermo qui.

INDIVIDUO
Carlo di Genova più o meno!

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[Roma] Presentazione del libro autoprodotto da Enjoy Pirateria

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Vertice Abisso numero – Foglio Egoista Nichilista 4

Questo è il file per scaricare il numero quattro di “Vertice Abisso“:

http://www.mediafire.com/?vy9h8i8vwhqlf12

In questo numero:

Editoriale: La Sacra Sindrome

Ritorna il boato delle parole armate

CCF – 250 nuove accuse, comunicato di rivendicazione

Lettera di Theofilos Mavropoulos in merito alle 250 accuse

Maurizio De mone – Il pugnale avvelenato del nichilista, dibattito con Entropia – II Giustizia

Redazione Edizioni Cerbero – La rivendicazione di un di-rompimento singolativo, dibattito con Entropia – I Solidarietà

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[Firenze] Tutti assolti i 19 anarchici dal reato di associazione sovversiva.

Apprendiamo con estremo piacere che i 19 compagni accusati, fra l’altro, del reato di eversione dell’ordine democratico 270 bis del codice penale e per cui erano state chieste condanne fino a 8 anni e quattro mesi dal pm Angela Pietroiusti, sono stati  tutti assolti.  Sono state confermate, invece, le accuse di occupazione e deturpamento. Le condanne piu’ pesanti sono state inflitte a Carlo Andrea Casucci, un anno e otto mesi, e Mario Andrea Genocchi, un anno e quattro mesi. Un anno e due mesi sono stati inflitti a Niccolo’ Martini, Chiara Falaschi e Sandro Carovac. I fatti riguardano l’occupazione di Villa Panico e risalgono al 2005 in poi.

Per Carlo Casucci, Sandro Carovac, Valentina Tognini, Chiara Falaschi, Niccolò Martini, Daniele Botta, Renanna Bezzier, Maria Teresa Aiardo, Federico Magliocco, Aliascia Braico, Alessandro Pantani, Carmine Vigliotta, Roberto Sanson, Tommaso Amico, Michele Scaglia, Andrea Mario Genocchi, Vincenzo Alfiere, Katrin Laino, Luca Trevisi vengono a cadere come un castello di carta tutte le accuse di associazione per l’eversione dell’ordine democratico.

Bentornati tra noi!

Fuori tutt@ dalle galere!

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[Roma] Presentazione de “Il mistero (solubile) dello zucchero assassino” di G. Aiello.

Lo stesso autore racconterà come lo zucchero sia diventato strumento di controllo e dominio, sottolineando come l’alimentazione industriale imposta dagli stati coloniali sia stata un forte ed efficace elemento di sottomissione delle popolazioni. Il potere si esercita sotto diverse forme, alcune evidenti come la violenza su chi ne manifesta il dissenso ed altre più subdole, propagandate come forme di progresso e di benessere. Modalità ben più infide e dannose e per questo più efficaci. Malattie e malnutrizione sono quindi utilizzate per invalidare intere etnie, che private di dignità e futuro non possiedono più la forza necessaria per reagire.
Sottomissione e sfruttamento passano anche attraverso il controllo delle risorse alimentari.
Un’interessante quadro sulla storia dello zucchero e sulle conseguenze della sua assunzione, il tutto con validi riferimenti antropologici e scientifici.
A seguire come di consueto, cena, distro, info e chitarre.

Gruppo Anarchico Cafiero – FAI Roma

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Genova – “I puntini sulle i” [Riflessioni sulla rivendicazione FAI]

da: Informa-azione.

riceviamo anonimamente e inoltriamo:

I puntini sulle i

Alcune riflessioni a proposito ed in risposta alla rivendicazione FAI ed alle susseguenti chiacchiere mediatiche.

Inevitabile, è prendere parola nel momento in cui si viene così direttamente chiamati in causa e dai cosiddetti “anarchici informali” e dai media tutti. Probabilmente quanto diremo susciterà altre polemiche ma, sinceramente, crediamo che queste avrebbero dovuto esserci di già molto tempo fa.

Insopportabile: l’essere presi tra due fuochi. Da una parte giornalisti, politici e giudici che
speculano su presunti “brodi di coltura”, su fantomatici passaggi che vedrebbero un salto di qualità fra la lotta sociale, di strada – fatta di contestazioni, manifestazioni, azioni, e di tutta la molteplicità di pratiche che la fantasia può mettere a disposizione – e, dall’altra, aspiranti lottarmatisti, ridotti alla parodia di se stessi, che arrivano a sparare per poi dedicare oltre la metà della rivendicazione del gesto a polemiche interne al movimento anarchico, quasi che lo scopo non fosse la sua dimensione politica o sociale (ammettendo che lo possa essere) ma il dimostrare di essere più “puri”di qualcun altro, più anarchici, più duri, più coraggiosi. Insomma da una parte si prepara la forca e dall’altra si continua a rimestare la merda nel proprio stagno.

Immorale. E’ farsi fare la morale su come un anarchico dovrebbe agire per essere “degno” di questo nome.

Indagati. Da una parte dalla questura che, da anni, preme affinché si riesca anche in questa città ad ottenere l’arresto di diversi anarchici e libertari per la solita “associazione a delinquere con finalità eversive” e, dall’altra, dalla neo avanguardia federata che ci spia, evidentemente, pronta a misurare quanto tempo passiamo in “salotto”, cosa facciamo la sera e quanto sia radicale ciò che diciamo e facciamo quando scendiamo in strada.

Innanzitutto. Noi a Genova in questi anni siamo scesi in strada e abbiamo partecipato a diverse lotte sociali, abbiamo organizzato manifestazioni e contestazioni, abbiamo occupato e agito, ci siamo “mossi” col sole e con la luna, non perché riteniamo questo un pezzo di un percorso graduale che, su una presunta linea retta, porta dal volantinaggio alla “lotta armata”, ma perché pensiamo e crediamo che questo è il nostro modo, quello che riteniamo più corretto e coerente con le nostra idee (…e ci dispiace se queste non combaciano con quelle dei “celoduristi dell’anarchia”).

Insieme. E insieme non significa cercare consenso, non significa obbligare la gente ad applaudire o fischiare, non significa dire “o con noi o contro di noi”. Significa essere complici per un momento, per un pezzo di strada, ognuno apportando il proprio contributo e le proprie idee. Non è “complicità” quella che prevede un “pensiero unico”, che non coglie le potenzialità e la bellezza delle diversità che riescono a dialettizzarsi intorno ad una medesima istanza. Per gli “anarchici federati informali” complicità significa sposare acriticamente i loro metodi e le loro (scarse) analisi sociali, pena l’essere indicati come politicanti, riformisti, anarchici da salotto, collaborazionisti.

Insurrezione. Alzarsi e ribaltare il tavolo dei vincoli e delle istituzioni sociali. Questo lo si fa con la condivisione e la partecipazione attiva delle persone, ognuno con i propri mezzi ed i propri tempi. Sentirsi sfruttati fra gli sfruttati, oppressi fra gli oppressi, pensare e lavorare affinché tutti insieme si possa rovesciare le classi dominanti nell’interesse di tutti. Costruire una società nuova con il contributo e la partecipazione di ogni individuo. Questo, magari tagliato un po’ con l’accetta, è l’idea che abbiamo di insurrezione e di rivoluzione. Se la società futura che “gli sparatori” hanno in mente è quella di chi guarda l’altro dall’alto in basso, di chi disprezza tutti come potenziali “complici”, beh, allora non combattiamo dalla stessa parte della barricata.

Imprescindibile è, dunque, per noi il rivendicare le nostre pratiche ed i nostri contenuti, le lotte che abbiamo portato avanti in questa città, come una scelta precisa che nulla ha a che vedere con salti in avanti o indietro. Se volevamo fare il gruppuscolo armato l’avremmo fatto, e questo probabilmente ci sarebbe costato meno in termini repressivi e di controllo. Si sa: inviare ogni tanto mortaretti per posta o fare la bua al polpaccio di un responsabile del cancro nucleare, col nome sull’elenco telefonico e senza scorta, può essere decisamente meno rischioso che ostinarsi ad andare avanti, magari ricominciando cento volte, come individui che si sentono parte del mondo e non al di sopra di esso. Quindi continueremo sulla nostra strada, consapevoli che l’obiettivo non è togliere il monopolio della violenza allo Stato per prenderselo per sé ma far sì che, se necessario, la violenza divenga diffusamente arma di difesa ed attacco degli oppressi tutti.

Inconscio, dei neo avanguardisti. Nel leggere di “piacere ad armare il caricatore”, del “confluire di sensazioni piacevoli”, di armonia con la natura e nichilismo, più varie piccole confessioni da rotocalco per ragazzi, ad una prima analisi, a legger bene e pensar male, appare evidente che più che la fede che animava i nichilisti russi ci si trovi di fronte ad un disagio che ha più a che fare con traumi adolescenziali mal risolti che con la volontà di rovesciare lo zar per aprire la strada al popolo. Il mal celato feticismo per la scoperta dell’arma da fuoco e l’apologia per il proprio coraggio (sino alla galera ed alla morte) ci rimandano ad una dimensione del martirio che con la libertà e l’emancipazione hanno poco a che fare, anche perché escludiamo categoricamente che nell’aldilà ci attendano fiumi di miele e, per i maschietti, 99 vergini.

Insensibilità. La violenza rivoluzionaria può essere una “tragica necessità”, e certamente non siamo qui a piangere per la gamba di un uomo che, lavorando attivamente nella diffusione del nucleare, ha gravi responsabilità nella distruzione del pianeta e nell’assassinio di tantissime persone. Tuttavia, dalla consapevolezza di una tragica necessità all’esaltazione del piacere per l’arma, passa la differenza tra quella che storicamente è stata e che noi chiamiamo giustizia sociale e quella che, nell’attuale situazione storica, per la rivendicazione che si è data, si è mostrata come pura espressione di rancore settario.

Incoerenza. Forse i nostri “nuovi anarchici” non se ne sono accorti ma, mentre loro scrivono di voler “radicalizzare il conflitto”, nelle strade d’Italia e d’Europa il conflitto si sta già radicalizzando da sé, senza bisogno di presunti illuminati a dare l’esempio. In tutti i casi, quello che ci chiediamo è: che cosa ha a che vedere questa visione “azzoppata” del nichilismo con il conflitto sociale (fenomeno allargato per definizione)? L’idea del conflitto sociale e della rivoluzione come fenomeno prettamente ed esclusivamente militare è cosa superata da oltre un secolo. E’ chiaro, crediamo per (quasi) tutti che sul piano meramente militare chi detiene il potere ha già vinto. Se fosse semplicemente il possesso delle armi a stabilire le possibilità di cambiamento allora potremmo di già darci per spacciati. L’equazione pistola=radicalità non sta in piedi da nessun punto di vista, è soltanto una visione auto celebrativa utile a confermare le tesi della polizia. Nelle lotte
sociali e partigiane non vi è alcuna gerarchia di mezzi, in alcuni casi possono essere utili le armi, in altre gli scritti e le parole, a volte entrambe, a volte altro ancora. Ciò che conta è la coerenza fra mezzi e fini. Solo l’alzare la testa di tutti gli oppressi può spazzare via l’attuale sistema sociale, e non è implicito né esclusivo che questo debba avvenire “militarmente”.

Il bue… che dice cornuto all’asino. Visto che gli autori del “noto gesto” hanno la pretesa di
giudicare la nostra e l’altrui coerenza, facciamo notare che il sottointeso del suddetto gesto
assomiglia ad un “colpirne uno per educarne cento”, pratica intimidatoria che forse sarà stata inglobata da quella che i “federati” chiamano “nuova anarchia”, ma che di certo non fa parte della tradizione anarchica a cui noi, irriducibili romanticoni, piace rimanere fedeli: vale a dire che si spara per fermare concretamente un’ingiustizia e non per avvertire e/o storpiare qualcuno.

Individuo, cioè la persona nella sua complessità, interezza, diversità e nelle sue relazioni. Vale per noi e vale per il nostro nemico. Non si spara mai “sulle divise” ma sempre sulle persone. Nel ridurre la persona ad un mero simbolo si compie un’operazione totalitaria, si trasfigura l’umano in una responsabilità e, così facendo, la responsabilità di cui l’individuo si prende carico diviene la sua interezza, vale a dire il mostro da abbattere, il nemico da punire. Qui non si tratta di sparare o non sparare ma di smetterla di ragionare in termini di simboli. Colpire dove più nuoce non dovrebbe significare colpire nel modo più simbolico o spettacolare, più semplice o meno rischioso, ma dove concretamente è possibile fermare l’ingiustizia, inceppare gli ingranaggi della morte. Nel colpire le responsabilità che le persone si assumono nel proprio ruolo noi vediamo il superamento di un ostacolo, la fine di una nocività, e non – come si evince dalla rivendicazione degli “anarchici informali” – il punire una persona. Non siamo giudici, siamo rivoluzionari.

Irredentismo. Di una certa retorica e simbologia “dannunziana” ne faremmo volentieri a meno: l’apologia del “bel gesto”, i movimenti interiori dell’anarchico nuovo, un certo sentimentalismo protoromantico e l’autocompiacimento estetizzante li lasceremmo volentieri ad un passato che, oltretutto, non ci appartiene. Del resto, cari “compagni”, non avete preso Fiume ma, se non ve ne siete accorti, c’è solo un ingegnere con la stampella per il prossimo mese. Già la prosa futuristaindividualista era imbarazzante per i suoi tempi, diciamo che riproporla oggi, in peggio, non è certamente un’urgenza.

Informalità. Non è obbligatorio usare i termini solo perché abusati nel milieu anarchico. Se l’informalità veniva posta (anche) in antitesi al lottarmatismo in un periodo in cui le BR tenevano la scena, allora non è che basta non essere come le BR per “essere informali” o determinare un’organizzazione informale. Quando i “nostri attentatori” ci piazzano una rivendicazione oggi, e ieri altri “federati” si addentravano in uno sproloquio, ambientato a Paperopoli, scritto con tanto di descrizione di metodi, linea da seguire, simbolo e sigle da interporre e post-porre, non basta chiamarne il risultato “spontaneismo armato” per esorcizzare l’ideologia lottarmatista. Tutt’al più quello che si ottiene è un peggiorativo dell’ideologia genitrice in un surrogato che mantiene in sé la logica dell’avanguardia ma gli aggiunge l’aspetto di una irrazionalità apparentemente romantica ma, nei fatti, semplicisticamente manichea. Spontaneamente, d’impulso, senza calcolo o razionalità si possono fare molte cose, ma non è detto che queste cose siano sempre la risposta giusta o migliore.

L’equazione spontaneità (nell’agire) = libera espressione dell’individuo = rivoluzione è, come direbbe un illustre comico genovese, “una cagata pazzesca”. L’azione rivoluzionaria è, e dovrebbe essere, a nostro avviso, il risultato elaborato di ragione e sentimento dell’individuo nelle sue relazioni con altri individui e col mondo circostante.

Incomunicabilità. E in effetti chiunque legga il comunicato di rivendicazione non potrà fare a meno di porsi una domanda: ma per gli attentatori chi sono i veri nemici, i tecnocrati a cui vogliono sparare o gli altri anarchici? Nella logica dualistica sopra citata non esiste spazio per dialogare con gli sfruttati, con gli esclusi – se non quello dell’indicare questi ultimi come complici rassegnati. La rivendicazione è per i media di regime e per lo Stato; le critiche sono per gli specialisti della militanza e per gli anarchici. Non sappiamo quanto le vittime del nucleare, vale a dire gli individui morti “piazzati” qua e la nel testo di rivendicazione, avrebbero mai potuto capire delle polemiche interne ai movimenti. Ma forse è colpa loro… o sono “solo” degli indignati o sono, appunto, morti… vero?

Idiozia, o provocazione? Sinceramente non lo sappiamo ma, sta di fatto, che troviamo alquanto grave che all’interno di una rivendicazione di questo genere vi siano contenuti concetti e frasi (estrapolate e incollate in modo raffazzonato) di testi altrui, scritti con altri obiettivi, con diverse progettualità e soprattutto pubblici… con tutto ciò che può comportare a livello repressivo (e scusate se “ragioniamo col codice penale alla mano”). Dunque la proposta è semplice: cari “anarchici informali”, se – come avete annunciato – dovete proseguire con la strada intrapresa, sareste pregati di spremere un po’ di più le meningi ed esprimere concetti vostri anziché inserire quelli altrui fuori (se non contro) il loro contesto originario.

Incredibile. Comunque dopo tante critiche alla Federazione Anarchica Informale una cosa
dobbiamo riconoscergliela: per due ore la produzione di Finmeccanica si fermerà… i lavoratori sciopereranno in difesa ed in solidarietà al “manager azzoppato”. Insomma un grande risultato, di quelli che si ottengono solo quando i muti parlano con i sordi.

In marcia. E così giovedì a Genova si terrà una manifestazione “contro il terrorismo”. La canea mediatica, le istituzioni e gli immancabili sindacati sono riusciti a mettere insieme ciò che per natura è contrapposto: le azioni contro Equitalia e la gambizzazione di un amministratore delegato, l’insorgere – ognuno a suo modo – contro i soprusi e l’avanguardia (mal) armata . Peggio: gli sfruttati e gli sfruttatori. Tanto per essere chiari noi non riteniamo che né la gambizzazione, né le molotov, né gli assalti “di massa” ad Equitalia, siano pratiche terroristiche. Terrorismo è il seminare violenza e panico alla cieca al fine di preservare o conquistare il potere. E questo appartiene allo Stato ed ai “fascisti (nazionalisti e/o religiosi) di varie bandiere”. Detto questo riteniamo la gambizzazione un atto intimidatorio e crudele che eticamente non ci appartiene, mentre riteniamo i vari attacchi ad Equitalia, compiuti dagli sfruttati in questi giorni, una battaglia molto più che
condivisibile, fondamentale.

Inquisire e raggruppare tutte le pratiche di dissenso, dalla lotta contro Equitalia a quella contro il TAV, dalle pratiche resistenziali contro la crisi finanziaria alla solidarietà verso gli immigrati perseguitati, in un unico calderone assieme al lottarmatismo è una vecchia modalità che gli Stati hanno tutto l’interesse a mettere in atto. Indicare il movimento anarchico ed i movimenti antagonisti come “brodo di coltura”, dipingere i rivoluzionari come doppiogiochisti (in pubblico tutti insieme alla pari, e di nascosto setta separata e sprezzante), dipingere ogni ostilità come terrorismo, è quello che serve al governo per continuare a far passare le sue “misure anticrisi” riuscendo a mantenerci divisi. Hanno già annunciato il rafforzamento delle misure investigative e repressive, hanno già proposto di voler schierare l’esercito a difesa degli “obiettivi sensibili”. Se gli sfruttati cascheranno in questa trappola vi è il concreto rischio che tutte le lotte iniziate implodano in loro stesse.

In cammino. Che non ci si faccia turlupinare da politicanti e sindacalisti, che si lascino le
avanguardie separate alla loro alienazione. Abbiamo bisogno di guardare il mondo con realismo, sapendo coniugare le difficoltà e la tragicità della situazione con le dovute risposte, coerenti coi nostri sogni e i nostri desideri. Non facciamoci prendere dalla paura, soprattutto non facciamoci divorare dall’odio e dal rancore (genitori di ogni forma di alienazione). Il mutuo soccorso ed il mutuo appoggio, la capacità di comprendere, la solidarietà ed il coraggio della coerenza (per cui mai il fine giustifica i mezzi) sono l’arsenale che da sempre gli oppressi hanno nella cantina del loro cuore. E queste armi, queste nostre armi, non le consegneremo facilmente alla polizia.

PS:

Incantesimo. Visto che saremo accusati di pratiche magiche, ovvero di riuscire a “dissociarci” da qualcosa a cui non ci siamo mai “associati”, sottolineiamo che questo testo è figlio di alcune individualità e che non a priori rispecchia le posizioni dei vari anarchici e libertari presenti a Genova. Ovvio, ma meglio precisarlo vista l’ottusità dilagante.

Indignati? Noi parecchio, anzi – ve lo concediamo – meglio dire Incazzati.

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