In questo numero:
Ricominciando dalla Natura
Lotta contro la tecnologia: alcune riflessioni
Tra-pianti di chi riceve e pianti di dona o vende
Attraversamenti postumani antispecisti
Xylella fastidiosa Stato insopportabile – Cronistoria di un’emergenza inventata e riflessioni in merito
Salti nella notte…
Una lettera alla ristorazione per Expo 2015? Analisi di un’azione controproducente
Solidarietà e complicità, sulle nocività e la necessità di opporsi – Note intorno al tentativo di attacco all’IBM in Svizzera di Silvia Billy Costa e al processo in Italia
EDITORIALE:
Cosa significa ricominciare dalla natura? Forse è stata abbandonata?
Sicuramente ce ne stiamo disinteressando proprio quando meriterebbe come non mai tutta la nostra attenzione, tutto il nostro impegno ed energie.
Sentire quotidianamente quell’urgenza verde, quel pericolo ambientale, quell’ennesima catastrofe ecologica in vista, l’ennesima specie rara e “fotogenica” che si estingue… strillato su ogni media è arrivato a saturare anche il nostro sentire empatico verso quella che sempre meno è intorno a noi o sotto i nostri piedi: la Terra. La descrizione quotidiana su quello che è l’ecocidio in atto si perde tra la valanga di fatti altrettanto gravi come la guerra; in questo groviglio inestricabile di cause ed effetti, ci si rassegna a non poter nè pensare al futuro, nè decifrare il presente, tanto che alcuni contesti ormai incapaci a guardare all’esterno arrivano anche ad appoggiare teorie misantrope ed estinzioniste del genere umano.
Quando si parla di ecologismo e ambiente il discorso è sempre diretto a quello che è il beneficio per l’essere umano e per le sue specie addomesticate. La separazione si fa sempre più radicale, si pensa che il lato selvatico sia ormai qualcosa di lontano da noi, semplicemente perchè non lo vediamo più e neanche lo sentiamo più. I cibi vegani industriali ricordano più l’agribusiness che la natura.
In un contesto dove la natura è degradata, l’intera società, che non può fare a meno della natura, ne risente e subisce le profonde conseguenze della sua degradazione. Queste si presentano sempre con tanti nomi e cause diverse, ma mai viene affrontata la vera radice del problema.
La crisi ecologica suggerisce l’indispensabilità della natura e l’impossibilità di sostituirne i processi che sostengono la vita. La risposta riduzionista alle “ecocrisi” estende la logica del farne a meno: presuppone che la base che sostiene la vita possa essere fabbricata nei laboratori e nelle industrie. Di fatto, in questa risposta alle crisi ecologiche, i confini tra laboratorio e fabbrica, tra scienza e profitto sfumano.
Si può così comprendere facilmente perchè l’artificialismo è diventato ora l’ideologia più in voga del dominio, che nega la necessità della natura e perfino la sua esistenza; questo perchè vuole diventare quello che ha sempre voluto essere: una totalità da cui gli uomini non possono più nemmeno pensare di uscire, un mondo senza fuori.
Il dominio distruggendo la natura fuori e dentro di noi vuole porsi come unica realtà: riporta al mondo naturale con ogni possibile immagine e discorso, ma di fatto è già un’altra cosa.
Da sempre il potere ha avuto il terrore dell’esistenza di qualcosa di diverso da sé, dove potesse sorgere la sua stessa critica o addirittura la sua negazione. È evidente quindi questa impazienza di annunciare l’abolizione della natura per far posto a qualcosa di completamente altro, che passa dalle modificazioni di geni e di atomi. Decretando la soppressione del mondo a lui esterno, della natura, il dominio si libera dalla necessità di occuparsi delle proprie contraddizioni: il mondo non è che un pretesto per perfezionare la propria onnipotenza. Abolite le contraddizioni che potevano indurlo a riflettere su sé stesso, l’erosione dei suoli, la perdita della biodiversità, il cambiamento climatico, l’aumento impressionante dei tumori, gli segnalano un evidente errore di metodo, invece di tener conto di questi avvertimenti e modificare il proprio corso, esso cerca con ogni mezzo di distruggere o recuperare l’avvertimento che viene a contraddirlo: si inventa nuovi pesticidi ancora più micidiali, restringe il campo del selvatico mostrando la monocoltura come modello, crea piante che resistono alla siccità “fuori suolo” e terapie miracolose per rallentare l’avanzata delle metastasi.
Sono ben lontani i tempi in cui la catastrofe nucleare era ancora forte nel sentire delle persone e lo stesso sistema non aveva molti argomenti rassicuranti in merito, visto che Hiroshima e Nagasaki erano ancora troppo fresche. Oggi invece la crisi ecologica, lungi da essere un segnale d’allarme costituisce al contrario un’ottima occasione di realizzare, sotto l’incalzare degli eventi, il progetto del dominio di sostituzione definitiva del vecchio mondo della natura con un universo interamente artificiale; l’occasione finalmente di spazzare via tutte le reticenze, tutti i dubbi e le obiezioni che gli opponeva ancora quel vecchio mondo fatto di natura intelligibile.
L’utopia di una “seconda natura” più efficace della prima, di una tecnosfera perfettamente sicura e purificata dalle insidie e oscurità, dai casi e rischi della vita naturale, non manterrà certamente nessuna delle sue promesse. Il surrogato di una vita sotto perfusione tecnica, costantemente invocato come ideale, si realizza nei fatti come instabilità permanente. Per chi gestisce e governa la potenza di questo tecno-mondo, ciò non rappresenta un problema, nulla importa se l’eredità e lo strascico di questo ottimismo siano fallimenti a ripetizione, crolli improvvisi, rovine, degradazioni, devastazioni grandi come il mondo.
Più questa natura viene schiacciata e distrutta, più questa ritorna ancora con più forza e imprevedibilità ricordando che il mondo non si è formato sotto bombardamenti genetici o piastre di grafene.
Ma questa natura cos’è? È quel che non è creato dall’uomo, quel mondo meraviglioso e temibile allo stesso tempo, che non sarà mai controllabile: è fuori e dentro di noi allo stesso tempo. Con la distruzione della natura corrisponde anche la nostra stessa distruzione, così come un oncotopo ha parenti solo dentro un laboratorio di ricerca.
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Intestato a Marta Cattaneo, specificare la causale L’urlo della Terra